Ha fatto scalpore in questi giorni lo scandalo che ha visto protagonisti i Carabinieri della stazione Levante di Piacenza: l’appuntato Giuseppe Montella, il maresciallo Marco Orlando, il maggiore Stefano Bezzeccheri e l’appuntato Giacomo Falanga.

Questi avrebbero negli anni fatto un uso criminale della loro posizione di potere, costringendo i pusher fermati a consegnare parte degli stupefacenti in cambio della libertà, malmenando in maniera brutale chiunque si opponesse ai loro metodi, intrattenendo rapporti con la malavita organizzata (avete letto bene) per ottenere i favori di usufrutto sulla piazza di spaccio di Piacenza.

Una vera e propria organizzazione a delinquere

Ci troviamo dunque di fronte a quella che ha tutti i connotati per essere considerata una vera e propria associazione a delinquere composta da Carabinieri, finalizzata all’arricchimento personale e al consolidamento del potere sul territorio, spalla a spalla con la ‘ndrangheta.

Il più “attivo” pare essere stato l’appuntato Giuseppe Montella, il quale, con l’aiuto della compagna Maria Luisa Cattaneo, gestiva il traffico di stupefacenti e le relazioni con una famiglia di malavitosi associati alla mafia Calabrese.

Forse è stato proprio lui con gli atteggiamenti da sbruffone sui social, con le decine di macchine sportive e motociclette acquistate negli anni, a far scattare i sospetti. Credeva di essere protetto da uno scudo invalicabile: la divisa.

Ma il pesce quando è marcio puzza dalla testa e se molti elementi adesso incastrano la figura dell’appuntato è evidente che anche chi gestiva la caserma dei Carabinieri di Piacenza Levante è sul banco degli imputati.

Non solo pare che il maresciallo Orlando fosse a conoscenza dei metodi poco ortodossi e festaioli dei suoi sottoposti (tra le delizie di questa vicenda pare anche ci siano stati festini a base di cocaina e trans all’interno della caserma) ma dalle prime indicazioni sembra sia pesantemente implicato, in ogni caso la catena di comando impone che un maresciallo abbia la responsabilità dei comportamenti dei suoi uomini.

Una caserma premiata, mai una nota di demerito

Fa ancora più rabbia scoprire poi che questa caserma negli anni è stata encomiata e premiata per il grande numero di arresti, pompato all’inverosimile, e che i soggetti in questione abbiano anni e anni di “onorata carriera” senza “mai una nota di demerito”.

E’ evidente (e vomitevole) il meccanismo che vedeva l’accanimento nei confronti dei piccoli pusher, di possessori di dosi per uso personale, su chi coltiva 3 piante di marijuana sul balcone, mentre i Carabinieri di Piacenza gestivano indisturbati il traffico grosso con la ‘ndrangheta calabrese.

Dai vertici dell’Arma è partita la solita cantilena “ogni anno tot Carabinieri onesti fanno il loro lavoro e rischiano la vita, non possiamo condannare tutti per alcune mele marce”.

Intanto dai tempi di Cucchi, Aldrovandi, della scuola Diaz, le mele marce hanno infestato i ranghi dei Carabinieri, e ogni volta ci viene sbattuto in faccia come dovremmo solo ringraziare per il servizio e soprassedere su “chi sbaglia”.

Questa volta è diverso, un’intera caserma implicata nell’utilizzare metodologie criminali, ci fa pensare che questo sia in realtà un modus operandi molto più diffuso, i cittadini onesti non vogliono essere rassicurati e blanditi a parole, i cittadini onesti vogliono che sia fatta piazza pulita.

E’ necessario un reset, un azzeramento e una ripartenza dei metodi di controllo sull’operato delle caserme, e soprattutto una nuova gestione della legge sugli stupefacenti: non è più possibile che la MAFIA lavori a braccetto coi CARABINIERI o con le forze dell’ordine in generale, tutto questo mentre vengono arrestati e denunciati attivisti 60enni (come nel recente caso di Franco Casalone), o mentre dei ragazzi di 20 anni vengono additati come spacciatori internazionali e sbattuti in prima pagina per 10 grammi di marijuana o 4 piante in giardino.

Il proibizionismo ha fallito, chi controlla il controllore?

Dunque il cittadino che vuole (o deve, in caso di pazienti) consumare Cannabis si trova sempre sul filo del rasoio, i negozianti che commerciano Cannabis con lo 0,2% di THC rischiano di rimanere sul lastrico e di vedere una stagione lavorativa in fumo al prossimo sequestro di Carabinieri o Finanza e l’autocoltivazione è una gimkana tra le spifferate del vicinato.

Questo mentre il bosco di Rogoredo a Milano (per dire un posto a caso) è una piazza aperta di spaccio di eroina, cocaina, droghe sintetiche di qualsiasi genere. Ci sono luoghi dove la legge non esiste, dove ragazzine si prostituiscono in cambio di una dose, arricchendo le mafie e con il sospetto che una parte di questi proventi luridi arrivi anche nelle tasche delle forze dell’ordine che lasciano queste aree a disposizione della criminalità.

Da cittadini che stanno cercando di lavorare onestamente, nei limiti assurdi di una legge sulle droghe che non ha senso, siamo allibiti e offesi, e ci viene da pensare che forse queste leggi siano così confuse perché scritte volutamente con lo scopo di facilitare questo tipo di comportamenti in chiaroscuro da parte delle stesse istituzioni che dovrebbero invece contrastare con tutte le forze il crimine organizzato.

Nel momento in cui stato e mafia operano sullo stesso piano, come possono le istituzioni chiedere ai cittadini il 70% dei guadagni ottenuti in tasse, scadenze fiscali assurde e il rispetto di una burocrazia fatta apposta per favorire i furbi?

Questa dei Carabinieri di Piacenza è solo l’ultima storia di una lunga serie di soprusi delle istituzioni sul popolo italiano. Il cittadino, il lavoratore, il piccolo imprenditore senza “amici” nelle alte sfere sono pregati di attaccarsi al tram: la Mafia è l’industria numero 1 da tutelare in Italia, fatevene una ragione.

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